Oggi parleremo di Search Engine Marketing (SEM) e in particolare di campagne Google Ads. Il SEM, a differenza della Search Engine Optimization (SEO), utilizza pubblicità a pagamento (Paid Search Advertising, PSA); di SEM e SEO ne abbiamo già parlato nell’articolo SEO e SEM: due strategie complementari di web marketing per il “posizionamento” dei siti Internet.
Lo strumento SEM più noto è il programma pubblicitario online di Big G, ovvero Google Ads. La piattaforma può essere utilizzata per supportare la vendita di prodotti e servizi, creare notorietà (awareness) intorno a un marchio e incrementare il traffico sul proprio sito web.
Una delle peculiarità di Google Ads è che gli inserzionisti pagano i propri annunci soltanto quando il target interagisce con essi, ad esempio nel caso in cui gli utenti clicchino sull’annuncio per visitare il sito web o chiamare l’attività.
Inoltre, non è richiesta una spesa minima ed è chi crea la campagna Google Ads a poter scegliere gli obiettivi, la tipologia di annunci, il budget e a valutarne l’efficacia tramite un’analisi delle metriche.
Per capire però meglio il funzionamento di Google Ads, abbiamo deciso d’intervistare Fabio Antichi, uno dei massimi esperti italiani negli ambiti SEO e digital marketing.
Intervista a Fabio Antichi, digital adv & SEO consultant
Grazie a voi! In generale, la “conversione” si riferisce al risultato desiderato per l’azienda, all’azione che un cliente o potenziale cliente compie, come l’acquisto di un prodotto, la sottoscrizione di un servizio, la compilazione di un modulo o l’iscrizione a una newsletter.
La conversione rappresenta, quindi, l’obiettivo finale della strategia di marketing ed è spesso misurata attraverso il tasso di conversione, ovvero il rapporto tra il numero di visite al sito web e il numero di conversioni effettive. In alcuni casi però, ad esempio quando il funnel di acquisto è complesso, si possono attivare anche delle conversioni intermedie, cioè delle azioni che si manifestano prima di quelle per noi realmente profittevoli e che hanno lo scopo di segmentare gli utenti.
Comunque, per farla breve, la conversione è quando si fattura.
Google Ads aiuta gli advertiser a convertire offrendo loro la possibilità di creare e gestire annunci pubblicitari altamente mirati, che vengono mostrati agli utenti di Google in base alle loro ricerche, ai loro interessi e comportamenti online.
Gli advertiser possono selezionare le parole chiave pertinenti (cioè i termini di ricerca utilizzati su Google) per il loro business e impostare un budget e un’offerta per gli annunci, che vengono quindi mostrati in cima ai risultati di ricerca di Google o su siti web e app partner della rete di Google.
Inoltre, Google Ads fornisce una vasta gamma di strumenti di targeting, come l’audience di remarketing, l’audience simile e il targeting geografico, che consentono agli advertiser di raggiungere i potenziali clienti in modo ancora più preciso.
Infine, attraverso la piattaforma Google Ads è possibile monitorare in tempo reale le prestazioni degli annunci e apportare modifiche per migliorare il tasso di conversione, come l’aggiustamento delle parole chiave, del testo dell’annuncio o del pubblico target.
La cosa, però, molto interessante che Google Ads permette di fare e che pochissime altre piattaforme offrono è la possibilità di impostare un ROAS, ovvero un ritorno sull’investimento minimo.
Ad esempio, se si imposta un ROAS target del 500%, significa che per ogni euro speso in pubblicità si mira a generarne 5 di ricavo dalle conversioni. E se non si raggiungono i 5 euro che gli abbiamo chiesto Google Ads NON SPENDERÀ.
Una volta impostato l’obiettivo ROAS, Google Ads utilizza l’apprendimento automatico e l’intelligenza artificiale per regolare le offerte degli annunci in base alle probabilità di generare conversioni a un costo inferiore rispetto all’obiettivo di ROAS prestabilito. In tal modo, gli advertiser possono massimizzare il ritorno sull’investimento pubblicitario e migliorare le prestazioni degli annunci su Google Ads.
Esistono diverse tipologie di campagne Google Ads, ognuna delle quali è progettata per raggiungere obiettivi specifici di marketing. A seguire un elenco delle principali.
- Ricerca: questo tipo di campagna consente di mostrare annunci testuali in cima ai risultati di ricerca di Google quando gli utenti cercano parole chiave pertinenti al tuo business.
- Display: le campagne di display consentono di mostrare annunci visivi su siti web e app partner della rete di Google, in base alle categorie d’interesse del pubblico.
- Shopping: con le campagne shopping, gli advertiser possono mostrare annunci di prodotti con immagini, prezzi e informazioni sugli stessi. Questi annunci appaiono sopra i risultati di ricerca organici e possono essere visualizzati anche sulla scheda Google Shopping. Sono la principale arma di e-commerce.
- Video: le campagne video consentono di mostrare annunci video su YouTube e sulla rete di Google, in base agli interessi e ai comportamenti degli utenti.
- Discovery: le campagne di scoperta permettono di raggiungere gli utenti durante il processo di scoperta dei prodotti, mostrando annunci su Google Discover, YouTube Home e Gmail.
- Drive to Store: questi annunci ci permettono di promuovere attività locali e prodotti in esse contenute; qui possiamo vedere messaggi, telefonate e numero di persone che, tracciate dal GPS, si recano presso le stesse.
La configurazione di ciascuna di queste tipologie di campagne dipende dagli obiettivi di marketing che si vogliono raggiungere e dai pubblici a cui ci si vuole rivolgere tramite gli annunci.
In generale, per configurare una campagna su Google Ads, è necessario:
- selezionare la tipologia di campagna;
- impostare un budget;
- definire il pubblico target;
- scegliere le parole chiave pertinenti;
- creare annunci accattivanti.
Inoltre, la configurazione può variare a seconda della tipologia di campagna scelta. Ad esempio, per le campagne shopping, è necessario configurare un feed di prodotti, mentre per le campagne video, è necessario creare un video pubblicitario. In ogni caso, Google Ads offre strumenti e guide per aiutare gli advertiser a configurare le campagne in modo efficace e ottimale.
Ma anche qui ci sono novità: da pochi mesi Google Ads ha aggiunto le campagne PMAX, ovvero delle campagne ad altissima intelligenza artificiale (IA).
Per permettere a tutte le campagne di performare al meglio, ma soprattutto per le PMAX, è fondamentale un corretto setting dei tracciamenti, nel senso che il pixel di Google Ads o quello di Google Analytics deve ricevere informazioni dettagliatissime sul comportamento utente in modo da permettere un corretto funzionamento della sua AI, senza che le campagne girino “a caso”.
CPC (costo per clic) e PPC (pay per click) sono spesso usati come sinonimi. In entrambi i casi, si tratta di modelli pubblicitari in cui gli advertiser pagano solo quando un utente clicca sull’annuncio. In altre parole, il costo della pubblicità dipende dal numero di clic che l’annuncio riceve. Potremmo dire che:
- nel modello CPC, l’advertiser paga una tariffa fissa per ogni clic ricevuto sull’annuncio;
- nel modello PPC, l’advertiser partecipa a un’asta di offerte per le parole chiave pertinenti e paga solo quando l’utente effettua un clic sull’annuncio. In questo caso, il prezzo di ogni clic dipende dalle offerte degli altri advertiser che partecipano all’asta.
Esistono anche altri modelli pubblicitari, tra cui:
CPM (costo per mille): in questo modello, l’advertiser paga per ogni mille impressioni dell’annuncio, ovvero ogni volta che l’annuncio viene visualizzato, indipendentemente dal fatto che l’utente faccia o meno clic sull’annuncio.
CPA (costo per azione): in questo modello, l’advertiser paga solo quando l’utente compie una specifica azione sul sito web dopo aver cliccato sull’annuncio, ad esempio se effettua un acquisto o completa un modulo.
ROAS: come accennato sopra, possiamo dire a Google Ads quanto deve fatturare per ogni euro speso su di lui per poter procedere, se non riesce a generare quel fatturato allora non deve spendere.
Vi risparmio gli altri modelli che si usano solo in casi particolari. La scelta del modello pubblicitario, infatti, dipende dagli obiettivi di marketing del business, ma oggi, visto che il software lo permette, praticamente tutti adottiamo il ROAS così da spendere soltanto se riceviamo in cambio il numero di contatti o di fatturato minimo che sostenga il costo delle campagne + il dovuto guadagno per l’imprenditore.
Domanda da un milione di dollari! Allora, secondo Google Ads i budget minimi sarebbero spesso importanti per molti business, nell’ordine di almeno 10 volte il CPL (costo per lead).
Per capirci: ipotizziamo che per ogni 10 richieste di preventivo me ne vadano in porto due e che ognuna di esse valga 2500 euro. In pratica, 10 contatti mi danno un fatturato di 5 mila euro; di questi la marginalità, il guadagno cioè, corrisponde a 2000 euro.
Quanto posso spendere per questi 10 contatti che mi hanno portato a questo fatturato? Ipotizzando che io non voglia guadagnare meno di 1500 euro, me ne rimangono 2000-1500, cioè 500 euro da spendere in pubblicità, che mi dà, diviso le 10 richieste di preventivo, un costo massimo per singolo preventivo di 50 euro.
Google ci dice che vuole almeno 10 volte il costo per lead, quindi con le premesse soprastanti per avere i 10 lead che mi portano a 5000 euro di fatturato al giorno, ci vorrebbero almeno 500 euro al giorno. Quasi sempre troppo per chi inizia. Non che sia sbagliato, è realmente il modo più efficace per avere un risultato, ma il cliente è come San Tommaso, se non vede non crede!
Potremmo ripetere questo ragionamento per ogni tipo di attività o e-commerce. Variando i numeri in funzione del business, vengono quasi sempre numeri importanti. Sommiamoci poi che Google Ads ha bisogno di alcuni giorni prima di arrivare “a regime” durante i quali si potrebbe spendere senza ricevere e… e quindi? E quindi si parte da un compromesso: per piccole attività locali possono bastare anche 5 euro al giorno, per un’azienda strutturata o un e-commerce non consiglio di scendere sotto i 20-30 euro al giorno, poi è ovvio, una volta provata la bontà del mezzo e il guadagno che ne deriva, si dà gas!
Oggi, la cosa super mega importantissima sono i tracciamenti, le creatività e la nostra “univocità”. Le campagne PMAX che abbiamo visto prima permettono in pochi clic di avere a disposizione un’arma potentissima in grado di vendere un sacco! Quest’arma, però, l’hanno anche i nostri concorrenti, ricordiamocelo!
Come fargli, quindi, lo scalpo? Ottimi tracciamenti, ovvero tanti dati forniti a Google ci permettono di farlo ragionare meglio e di far decollare prima le nostre campagne; usare immagini e video (ormai quasi obbligatori) furbi, il che non significa costosi o che richiedano un set televisivo, basta oggi un cellulare e potremo “sorpassare” i competitor con scarse prestazioni (pensate che Google, se non gli diamo in pasto un video, se lo fa da solo, ma con una qualità pessima); essere univoci: in mercati sempre più inflazionati dobbiamo prima di tutto capire perché una persona dovrebbe acquistare da noi e non da un nostro concorrente, individuata questa chiave di volta il setting delle campagne sarà solo un tecnicismo.
Fa riferimento a vecchie guide, si fissa sul costo di un clic senza guardare i guadagni e la strategia nel suo complesso, non setta bene il merchant center (qui servirebbe un altro capitolo) e lascia i tracciamenti con un setting basilare (frequentissimo e super dannoso), cerca d’imporre a Google un suo metodo, cosa che ormai da anni non si può più fare (a meno di non perdere strada facendo tante conversioni).
Tantissimo, ma sempre meno. Veterani del settore come me vengono da un mondo dove si impastavano le parole chiave dividendo il singolare dal plurale, dagli errori di battitura, ecc. Oggi, fare una cosa del genere sarebbe come provare a svuotare il mare a cucchiaiate. In molte delle campagne attuali le parole chiave non esistono proprio più! E Google ci dice chiaramente che in futuro ne vedremo sempre meno. Quindi dove ci è ancora possibile usarle le usiamo, ma dobbiamo già prepararci la strada alternativa per non rimanere fregati al prossimo aggiornamento!
Moltissimo ed è un tema sempre attuale. Anche qui, in passato, avevamo modo di configurare una targetizzazione in modo diretto e puntuale con fasce orarie, età, reddito, luogo di residenza e tante altre possibili caratteristiche. Oggi non è più così facile, ma è sempre possibile; lo si fa in modo indiretto fornendo a Google degli “stimoli” affinché vada dove noi vogliamo. Quindi, attraverso dei segmenti di pubblico, attraverso cluster di clienti e anagrafiche e molto altro si può comunque, anzi forse anche in modo più redditizio, raggiungere il nostro target e soprattutto il nostro obiettivo di business.
Di nuovo grazie a voi! Su questi argomenti si potrebbero e si scrivono poemi, potremmo parlarne per giorni. Chiudo dicendo una cosa sola: Google Ads è uno strumento potentissimo che genera fatturato, ma si devono avere obiettivi di business chiari e un’ottima conoscenza tecnica dello strumento, o farsi fregare dei soldi da Google è un lampo.